Autore dell’opera: Sisbertus Toletanus ps. (pseudo Sisberto)
Titolo dell’opera: testo 1: Exhortatio poenitendi; testo 2: Lamentum poenitentiae testo 3: Oratio pro correptione vitae
Ambito cronologico: Medioevo / secolo VIII
Ambito linguistico: latino
Tipo trasmissione dell’opera: testo 1-3: manoscritta di estensione media (senza autografi)
Tipologia di testimone/i su cui si basa l’edizione: manoscritti
Titolo edizione: Pseudo–Sisbertus Toletanus. Opera omnia. Exhortatio poenitendi, Lamentum poenitentiae, Oratio pro correptione uitae
Curatore edizione: Álvaro Cancela Cilleruelo
Tipo edizione*: edizione critica ricostruttiva
Sede di pubblicazione: Turnhout, Brepols
Anno di pubblicazione: 2021
Lingua di pubblicazione: latino, spagnolo
Dati bibliografici completi: Pseudo-Sisberti Toletani Opera Omnia. Exhortatio poenitendi, Lamentum poenitentiae, Oratio pro correptione vitae, cura et studio Álvaro Cancela Cilleruelo, Turnhout, Brepols, 2021 (Corpus christianorum. Continuatio mediaevalis 307)
Autore recensione/scheda: Marina Giani
Tipologia di contributo: recensione
Dati bibliografici della recensione/scheda: recensione già apparsa in “Filologia mediolatina” 30 (2023)
Il Corpus dello «pseudo-Sisberto» annovera tre componimenti anonimi a tema penitenziale e si apre con l’Exhortatio poenitendi, un carme in 176 esametri ritmici che inscena il dialogo tra un peccatore e un interlocutore non altrimenti identificato, il quale invita il primo a pentirsi e a pronunciare i versi che compongono la seconda opera, il Lamentum poenitentiae. Quest’ultimo è un carmen alphabeticum in senari trocaici ritmici, in cui il peccatore, che parla in prima persona, si assume la responsabilità delle proprie colpe e descrive la penitenza cui si sottopone volontariamente. La raccolta si chiude con l’Oratio pro correptione vitae, una lunga preghiera in prosa in cui il protagonista, che dichiara di aver già pronunciato tra le lacrime l’alphabetum precedente, riconosce e rende grazie alla misericordia divina e traccia una regola di vita morale e religiosa. Il Corpus si configura dunque nell’insieme come un ciclo penitenziale, ispirato nella sua alternanza di forma dialogica e monologo ai Synonyma di Isidoro di Siviglia.
Il volume prende le mosse dalla tesi dottorale di Álvaro Cancela Cilleruelo, ora professore all’Università Complutense di Madrid, e offre la prima edizione critica integrale del Corpus. Nel primo capitolo degli ampi prolegomena, Cancela si concentra innanzitutto sulle fonti bibliche e letterarie. Di Isidoro, «pseudo-Sisberto» cita ampiamente i Synonyma, fonte di ispirazione anche a livello macrostrutturale, le Sententiae, le Etymologiae e il secondo libro delle Differentiae. Tra i Padri, frequenti sono i richiami ad Agostino, Girolamo e Gregorio, in parte mediati dal Liber scintillarum di Difensore di Ligugé. Degne di nota sono infine le riprese dallo pseudoisidoriano Liber de ordine creaturarum, un’opera irlandese databile al terzo quarto del VII secolo, dal Carmen ad quendam senatorem, raro componimento tardoantico, e dalla Poenitentia Theophili, un’agiografia in greco, la cui traduzione latina è comunemente attribuita – pur su basi incerte – a Paolo Diacono Napoletano, attivo nella seconda metà del IX secolo. Se la traduzione sullo scrittoio dello «pseudo-Sisberto» coincide effettivamente con quella conservata anche dalla tradizione diretta, la sua paternità dovrà essere ridiscussa, dal momento che il Corpus è certamente anteriore al IX secolo.
Dopo i paragrafi dedicati alla facies metrica dell’Exhortatio e della Lamentatio, l’editore passa in rassegna la tradizione indiretta della collezione. L’episodio più rilevante è la ripresa dell’Oratio nel Liber exhortationis di Paolino di Aquileia, che segna anche il terminus ante quem per la datazione del Corpus al 799, anno della morte del duca del Friuli Eric, cui il Liber era dedicato. Paolino riproduce fedelmente alcuni passi dello «pseudo-Sisberto», tanto che è possibile determinare la posizione stemmatica del suo manoscritto-fonte, genealogicamente affine a F (Angers, Bibliothèque Municipale, 275). A latere, Cancela restituisce allo stesso Paolino la paternità della breve antologia inedita di argomento penitenziale tràdita nel codice Berlin, Staatsbibliothek, lat. qu. 668, il cui prologo dipende ancora dall’Oratio.
L’ultimo paragrafo del primo capitolo è dedicato a unità, origine e datazione del Corpus, pubblicato da Faustino Arévalo tra i dubia e spuria degli opera omnia di Isidoro. Nel 1926, Justo Pérez de Urbel propone di attribuire il Lamentum al vescovo visigoto Sisberto di Toledo, attribuzione estesa all’intero Corpus nella bibliografia posteriore. Pérez de Urbel riteneva che il peccatore del Lamentum non mirasse in effetti a chiedere il perdono di Dio, bensì quello di un princeps, che lo studioso identifica con il re Egica, oggetto di una congiura ordita da Sisberto nel 693. Cancela dimostra innanzitutto che il ciclo è opera di un unico autore: i riferimenti intertestuali tra un componimento e l’altro e le affinità linguistiche, metriche, stilistiche e tematiche non lasciano spazio a dubbi. Indizi di varia natura consentono inoltre di respingere definitivamente la paternità di Sisberto e di datare i tre componimenti al secolo VIII, localizzandone la composizione in area extraispanica, probabilmente in Italia settentrionale. Innanzitutto, il terminus a quo è costituito dalla fonte più recente, il Liber scintillarum di Difensore, composto tra la seconda metà del VII secolo e il 750. Accenni a temi antieretici nell’Oratio suggeriscono inoltre di abbassare la cronologia del Corpus alla seconda metà dell’VIII secolo, quando le polemiche antiadozioniste e in merito al Filioque si fecero più accese. Un’origine non ispanica è suggerita innanzitutto dalla tradizione diretta e indiretta più antica del Corpus, limitate all’Europa centrale e all’Italia settentrionale: non vi è traccia di ricezione iberica, insulare o italo-meridionale nell’alto medioevo. Alle stesse conclusioni conduce l’indagine della tradizione manoscritta delle fonti: il codice dei Synonyma di Isidoro maneggiato dallo «pseudo-Sisberto» apparteneva alla recensione F, diffusa esclusivamente in area extrapeninsulare, contaminata in alcuni punti con la redazione L. Dal punto di vista metrico, i componimenti presentano alcuni tratti tipici della poesia ritmica italiana di VIII secolo, come la grafia yacere per facere nel Lamentum e la regola seguita nell’Exhortatio per cui se il secondo emistichio di un esametro è ottosillabo e inizia con un trisillabo, quest’ultimo è sempre parossitono.
Il secondo capitolo dell’introduzione è dedicato alla tradizione manoscritta, che consta nel complesso di 32 testimoni databili tra IX e il XVI secolo, latori tanto del Corpus completo quanto di una sola o due delle sue componenti. Ciascuno di essi è descritto in maniera dettagliata dall’editore. Sono censiti altri cinque testimoni perduti citati nei cataloghi di biblioteche, cui vanno sommati il modello diretto dell’editio princeps del Corpus curata da Jacques du Breul nel 1601 e il testimone da cui dipende l’edizione del 1675 curata da Godefroid Henschen e Daniel van Papenbroek della Vita Isidori (BHL 4486), che contiene al suo interno la versio brevior del Lamentum.
I capitoli 3, 4 e 5 sono dedicati rispettivamente all’analisi della tradizione manoscritta dell’Exhortatio, del Lamentum e dell’Oratio. Una tradizione «a geometria variabile» come quella del Corpus richiede necessariamente uno studio stemmatico indipendente per ciascuna delle tre opere, che l’editore esamina dapprima separatamente e solo in un secondo momento mette in relazione. In pratica, alla fine di ciascun capitolo si trovano due stemmi: il primo è tracciato sulla base delle sole conclusioni interne all’opera stessa, mentre il secondo è fondato sulla combinazione di queste con i dati ricavati dall’escussione dei testimoni comuni alle altre due – purché non sussistano indizi di cambio di modello. L’Exhortatio è tradita da 22 codici e dall’edizione a stampa di Du Breul. Lo stemma risulta bipartito: al ramo a si contrappone quello rappresentato dal solo testimone A (Douai, Bibliothèque Municipale, 290), un codice di XII secolo copiato – parrebbe – ad Anchin e contenente la sola Exhortatio. Quest’ultimo discende all’archetipo tramite un codex interpositus perduto che ha subìto contaminazione da a, come attestano le due varianti alternative registrate dell’interlineo. Al vertice dello stemma si trova l’archetipo w, la cui esistenza è dimostrata da due guasti comuni a tutta la tradizione conservata.
Il Lamentum poenitentiae è tràdito in due recensioni di lunghezza diversa. La recensio longior è trasmessa da 17 testimoni (e dall’edizione Du Breul), dove compare sempre accompagnata dall’Exhortatio e/o dall’Oratio; la recensio brevior è invece testimoniata da sei codici tardi (s. XIII-XV) di origine iberica, all’interno del dossier di opere isidoriane incluso in una Vita Isidori (BHL 4486) compilata tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo a León. Il suo autore (forse Martino di León, †1203) era un religioso di San Isidoro che intendeva con quest’opera celebrare la translatio del corpo del vescovo sivigliano nella cattedrale e dotare la comunità di un testo per il culto. Dopo aver presentato attraverso una serie di tavole sinottiche le differenze macrostrutturali tra le due redazioni, l’editore procede con l’esame delle relazioni tra i testimoni della recensione lunga. Se nel caso dell’Exhortatio e dell’Oratio è possibile risalire a un archetipo w, per quanto concerne il Lamentum il punto più alto ricostruibile è a, da cui nessun testimone risulta indipendente. La tradizione, stando ai dati ricavabili dal solo Lamentum, è pentapartita: non sono isolabili innovazioni sicure condivise da due o più tra i cinque subarchetipi, ossia S – da cui discende la maggior parte dei testimoni e che associa il Corpus ai Synonyma di Isidoro – Ψ, U (Subiaco, Biblioteca del Monastero di Santa Scolastica, 249bis), B (Montpellier, Bibliothèque Interuniversitaire, Méd. H 137) e L (Oxford, Bodleian Library, Laud. Misc. 508). Se tuttavia si considera la tradizione manoscritta delle altre due opere, lo stemma risulta bipartito: da un lato abbiamo Ψ, dall’altro la famiglia b, che a sua volta è suddivisa in due rami, rappresentati rispettivamente dal codice B e dal perduto D. Non potendo reperire alcuna prova in grado di contraddire una simile configurazione stemmatica, essa risulta a priori verosimile – anche se non positivamente dimostrabile per quanto concerne il Lamentum. Si tenga comunque presente che in a e in alcuni suoi discendenti erano probabilmente registrate variae lectiones, ciò che spiega la distribuzione leggermente irregolare di alcune varianti nella tradizione manoscritta successiva.
La tradizione della recensio brevior dipende per intero dal codice T (Madrid, Biblioteca Nacional, 10442), archetipo conservato databile al XIII secolo, antigrafo diretto di m (Madrid, Biblioteca Nacional, 898) e t (Toledo, Archivo y Biblioteca Capitulares, 27-24), di D (Salamanca, Biblioteca de la Universidad, 2540) e – tramite un antenato comune θ – di Q (León, Real Colegiata de San Isidoro, 41) e S (El Escorial, Real Biblioteca del Monasterio de San Lorenzo, b.III.14), questi ultimi due corretti l’uno sulla base dell’altro. S è stato contaminato anche con t, appartenuto a Juan Bautista Pérez Rubert (†1597), che condivideva interessi eruditi con Ambrosio de Morales (†1591), possessore di S. Da T discendono infine il volgarizzamento castigliano della Vita Isidori e la redazione inclusa nei Gesta sanctorum di Bernardo di Brihuega (†1284), mentre a fasi della tradizione indipendenti da T rimontano la Vita Isidori nella raccolta di Rodrigo de Cerrato (fl. 1272) e l’Homilia in natale sancti Isidori di Pedro Muñiz (†1224). La recensio brevior è una riscrittura e abbreviazione della longior, da attribuire un autore posteriore allo «pseudo-Sisberto». L’analisi contrastiva delle strofe o parti di strofe proprie a ciascuna delle due recensioni rivela difatti che le porzioni peculiari della longior sono opera del medesimo autore di quelle comuni alle due versioni e del Corpus nel complesso; viceversa, le strofe aggiunte alla brevior esibiscono tratti idiosincratici dal punto di vista fonetico, lessicale, sintattico, stilistico e metrico. L’esame delle varianti alternative nelle strofe comuni conferma poi che le letture della recensio brevior sono deteriores: si tratta di varianti contra usum scribendi, contra fontem e di ripetizioni letterali di interi versi o emistichi. Nello specifico, la recensio brevior ha origine da un codice perduto h da cui dipende anche U, testimone della longior che trasmette alcune omissioni ed errori condivisi con la brevior. La posizione stemmatica di h non è individuata con sicurezza: alcuni indizi sembrerebbero legare il codice a F, ma la questione rimane aperta.
La tradizione manoscritta dell’Oratio consta di 18 testimoni, cui si somma l’edizione Du Breul. Lo stemma ha al vertice un archetipo w – corrotto in molti punti – e risulta bipartito: da un lato si sviluppa la famiglia a, dall’altro si trova isolato H (München, Bayerische Staatsbibliothek, Clm 14492), un codice bavarese databile al secondo quarto del IX secolo, che trasmette la sola Oratio e la attribuisce nella rubrica ad Agostino di Ippona.
Il sesto capitolo cala i dati della tradizione manoscritta nel loro contesto storico e descrive il processo di trasmissione e ricezione dell’opera nei diversi ambienti culturali lungo l’intero arco del medioevo, fino al XVI secolo. Particolarmente rilevanti risultano le considerazioni di Cancela in merito al punto di partenza della tradizione, fondamentali per una corretta interpretazione dell’opera in quanto tale. L’esatta natura del ciclo penitenziale rimane inattingibile, ma pare probabile si tratti di una costruzione letteraria, slegata dalle circostanze storiche di composizione. Potrebbe trattarsi di un esercizio scolastico di ottima qualità, dal momento che il suo autore dimostra un notevole bagaglio di letture, anche molto rare. La trasmissione è in prevalenza lineare, con contaminazione circoscritta e limitata ai piani alti dello stemma, ad eccezione della versione brevior del Lamentum. Alla radice di tale verticalità è l’anonimato del testo nella maggior parte dei codici che lo tramandano, circostanza che in effetti poteva rendere complesso procurarsi un testimone di controllo su cui verificare la copia in proprio possesso.
Le edizioni precedenti del Corpus e i codici impiegati dagli editori sono oggetto del settimo capitolo. La collazione completa del testimoniale mette in luce innanzitutto che il perduto esemplare di Saint-Maur-des-Fossés su cui Du Breul si era basato per l’editio princeps del 1601 apparteneva alla sottofamiglia f e testimoniava l’Oratio in forma mutila. Quest’ultimo dettaglio è rivelato da una nota marginale di Nicolas Lefèvre – incaricato da Du Breul di trascrivere il Fossatensis – nel codice R (Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 2876), utilizzato da Du Breul per colmare la lacuna del testimone principale. L’editio princeps della Vita Isidori curata da Henschen e van Papenbroek nel 1675 dipende invece da un apografo perduto di m. L’edizione dell’Exhortatio curata nel 1858 da Jean-Baptiste Pitra supera quella di Du Breul, di cui collaziona il testo con i codici A, P (Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 18072) e B. Nel 1889 Wilhelm Meyer pubblica la prima edizione scientifica dell’Exhortatio e del Lamentum, basata sulle edizioni precedenti e sulla collazione di E (München, Bayerische Staatsbibliothek, Clm 14843), G (Sankt Gallen, Stiftsbibliothek, 269), g (Sankt Gallen, Stiftsbibliothek, 223) e W (Wien, Österreichische Nationalbibliothek, 794). L’ultima edizione dell’Exhortatio e del Lamentum esce infine nel 1914 per le cure di Karl Strecker, il quale duplica il testimoniale considerato rispetto a Meyer. La recensio brevior della Lamentatio è edita da José-Carlos Martín Iglesias nel 2016.
L’ottavo capitolo illustra i criteri della presente edizione. Nonostante la bipartizione ai piani alti della tradizione, il metro e le citazioni letterali delle fonti contribuiscono a ridurre drasticamente i luoghi dell’Exhortatio in cui la scelta tra varianti adiafore rimane realmente controversa. Nel caso della Lamentatio, le relazioni stemmatiche ai piani alti non sono sicure, ma il metro è ancora una volta dirimente. Per quanto concerne infine l’Oratio, in caso di varianti completamente equivalenti tra H e a la scelta ricade di tendenza su a, che risulta il più fedele dei due. Il testo critico è accompagnato da cinque fasce di apparato. Nella prima sono registrate le fonti e i paralleli biblici; nella seconda le fonti e i paralleli letterari, nonché la tradizione indiretta. Il terzo apparato raccoglie i loci similes all’interno dello stesso Corpus, il quarto rende conto della traditio textus, da ultimo, il quinto è un apparato critico concepito come quello di un’editio maior. Vi sono difatti registrate tutte le innovazioni dei testimoni, indipendentemente dal loro valore, ad esclusione delle varianti grafiche e di quelle dei descripti. Nel caso della Lamentatio, una sesta fascia di apparato è riservata alle varianti della recensio brevior – sia quelle dei manoscritti, sia le congetture e correzioni degli editori. In ragione della mobilità del testimoniale, sono stati consultati per la ricostruzione della facies ortografica solo i codici carolingi (H, F, B, E e C [Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Reg. lat. 407]), benché non tutti e non per tutte le opere coincidano con gli optimi. In caso di divergenze, la grafia classica è mantenuta solo dove maggioritaria nella tradizione più antica. In caso contrario, è riprodotta la forma postclassica.
L’edizione di Cancela, oltre a superare le precedenti per ampiezza della base testimoniale e rigore metodologico, si distingue per ampiezza, sistematicità e acribia dell’analisi. Il lettore si compiacerà di constatare che nessun aspetto dell’indagine filologica – da intendere qui in senso ampio – è stato trascurato: da un lato, le relazioni tra i testimoni sono ricostruite in maniera del tutto convincente, tenendo conto anche gli aspetti materiali e del valore dei singoli testimoni in relazione a eventuali altri testi in comune; dall’altro, l’esame puntuale della lingua, dello stile, del metro e delle fonti, oltre ad arricchire l’analisi stemmatica, ha condotto alla formulazione di una nuova proposta interpretativa del Corpus, avanzata tra l’altro in maniera prudente ed equilibrata, senza mai tralasciare alcuna possibilità di lettura alternativa. L’approccio insieme ecdotico ed ermeneutico di Cancela offre insomma un saggio esemplare di quella «filologia totale» che si giova di qualsiasi forma di indagine critica al fine non solo di ricostruire il testo di una data opera, ma anche di interpretarne il senso in un’ottica insieme sincronica e diacronica.
